Cassazione Penale – Responsabilità medica
La Corte di Cassazione ha affermato che lo stato patologico pregresso del paziente può assumere rilievo sul piano della delimitazione del danno risarcibile.
FATTO E DIRITTO: La Corte d’Appello di Genova in parziale accoglimento del gravame interposto in via incidentale dall’Ospedale (Omissis) e da Tizio ha rideterminato in diminuzione la somma liquidata dal giudice di prime cure a titolo di danno patrimoniale subito dal minore X in conseguenza del danno neurologico da grave asfissia e permanente invalidità totale a quest’ultimo cagionata dalla negligente condotta del medico Caio nella gestione del travaglio e nel corso delle operazioni di parto. Con riferimento al complesso caso di responsabilità medica esaminato da Cass. n. 975 del 2009 e prospettante la questione del concorso fra causa naturale (nella specie, uno stato patologico pregresso del paziente) e causa umana, si è in particolare da Cass. n. 15991 del 2011 sottoposto al vaglio critico la soluzione adottata nella detta pronunzia di ammettere la possibilità per il giudice di merito, in sede di accertamento del nesso causale tra condotta e evento, di procedere alla specifica identificazione della parte di danno rapportabile all’uno o all’altra, eventualmente con criterio equitativo, con conseguente graduazione o riduzione proporzionale dell’obbligo risarcitorio del professionista. Nel ribadire la validità del principio causale puro, pur all’esito di un accertamento della sussistenza del nesso di causalità condotto sulla base del criterio del “più probabile che non”, si è in particolare negata l’ammissibilità di una comparazione tra causa umana imputabile e causa naturale non imputabile, potendo essa configurarsi solo tra comportamenti umani colpevoli. La Corte di Cassazione ritiene quindi che dove la condotta del medico si ponga quale antecedente autonomo e sufficiente per la causazione dell’evento dannoso, non possa ritenersi automaticamente esclusa dal pregresso stato patologico (rectius, la pregressa condizione genetica della sindrome di Down), in quanto trattasi di due campi d’indagine separati: uno è l’accertamento del nesso di causalità e l’altro è l’accertamento della condotta colposa, quest’ultima propriamente costituendo il criterio di imputabilità della responsabilità. Pertanto solo all’esito dell’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta colposa e il danno, in occasione del diverso e successivo momento della delimitazione dell’ambito del danno risarcibile e della determinazione del quantum di risarcimento, la considerazione del pregresso stato patologico del danneggiato può invero valere a condurre ad una limitazione dell’ammontare dovuto dal danneggiante. Ciò detto in base al criterio posto dall’art. 1227 c.c. la diminuzione del risarcimento può avvenire in base alla gravità della colpa e all’entità delle conseguenze. A tale stregua trattandosi nella specie di ipotesi di a) pregresso stato patologico (rectius, condizione genetica) non ascrivibile a condotta umana imputabile e b) privo di incidenza causale sulla (successiva e autonoma) condotta colposa del medico (la quale ultima a sua volta non ha determinato uno specifico aggravamento della pregressa sindrome di Down), quand’anche si giunga alla conclusione che essa sia una concausa determinante di un più grave stato d’invalidità, alla riduzione dell’ammontare risarcitorio può invero pervenirsi non già sempre e comunque in termini di automatica percentuale corrispondenza ad operazioni di apporzionamento/frazionamento del nesso di causalità, bensì se del caso, in considerazione della peculiarità della fattispecie concreta, sul piano della equitativa valutazione del danno ex. art. 1226 c.c).